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Commenti sulle Gare
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Per la prima ho trovato tante giustificazioni: dalla mancanza di una adeguata preparazione al fatto che fosse, appunto, la prima. (Foto: Claudia Lazzara).


La seconda credo di averla preparata meglio con più consapevolezza e maggior criterio, eppure è andata peggio della prima. Molto peggio. Con Giusi siamo arrivati alla partenza in piazza Yenne non in ritardo ma quasi. Neanche il tempo di salutare tutti ed eravamo già lanciati verso via Roma. I primi chilometri sono scivolati via abbastanza fluidi, sono partito piano avendo come punto di riferimento, a circa cinquecento metri, i palloncini verdi attaccati alla canotta di Pier Paolo, pacemaker delle 3h e 30’.

Il primo inconveniente al rifornimento dei 5Km: la signora addetta alla distribuzione dell’acqua, proprio nel momento in cui passavo io, ha perso la felpa che teneva legata alla vita e si è piegata per raccoglierla, perdendo l’attimo per passarmi il bicchiere. Rifornimento saltato. La cosa mi ha creato un po’ di nervosismo perché il caldo iniziava a farsi sentire. Un atleta affianco a me vedendo la scena mi ha passato la sua bottiglietta d’acqua, ma era gasata e ho preferito non berla. Intorno al settimo km ho agganciato Pier Paolo e mi sono affidato al suo ritmo.

Sentivo un caldo opprimente e i ristori erano inadeguati: bicchieri piccoli ( da caffè !), acqua gasata e pochi volontari alla distribuzione. Avevo sempre sete, un’arsura che non avevo mai provato, ho cercato di bere sempre ma già dopo pochi metri la sete era insopportabile. Al 22° km abbiamo incontrato Gian Mario che ci annunciava il suo ritiro. Non ho detto niente ma nella mia mente sia è affacciata l’idea che io sarei stato il prossimo. Ho tenuto sino al 28° km poi ho ceduto e Pier Paolo, con i suoi palloncini, si è allontanato inesorabilmente, metro dopo metro. Ho cercato di impostare un ritmo più lento e per un po’ ho anche creduto di poterlo tenere ma al 32° km mi sono fermato. Avevo difficoltà anche a camminare: avevo crampi ai bicipiti femorali. Ho cercato di distenderli ma è stato tutto inutile.

Avevo sempre una sete tremenda e ho chiesto l’acqua ad un ciclista di passaggio che però mi ha detto che mi avrebbero potuto squalificare se avessi preso acqua fuori dai ristori. Ho risposto che se mi avessero squalificato mi avrebbero fatto una grande cortesia e mi sono attaccato alla sua borraccia. Ho finito la gara non per eroismo o per stoicismo ma semplicemente perché non ho trovato nessuno che mi accompagnasse al traguardo. Ho chiesto anche al personale di una ambulanza ma l’autista mia ha detto che avrei dovuto aspettare sino alla fine della gara. Mentre camminavo verso il traguardo ho fatto conoscenza con un compagno di sventura, un panettiere di Selargius che era partito per fare 3h 10’. Anche a lui è andata male. La cosa che più mi ha impressionato, però, è che la notte sarebbe dovuto andare a lavorare svegliandosi all’una e mezza. Gli ho chiesto come riuscisse, dopo la maratona, a lavorare tutta la notte. Mi ha risposto: “ io sono abituato a soffrire”.

Nell’ultimo chilometro mi è venuta incontro Giusi che, comprensibilmente preoccupata, aveva deciso di camminare a ritroso lungo il percorso di gara, certa ormai di trovarmi cadavere. Quando mi ha incrociato non mi ha detto niente era solo felice ( credo) di vedermi vivo. Al traguardo ho preso la medaglia ma non l’ho messa al collo perché mi sembrava di non meritarla eppure tenendola in mano sentivo che quel pezzo di metallo mi avrebbe ricordato a lungo quella giornata. E tutto sommato non sarebbero stati brutti ricordi.

Gianfranco

“Se desideri vincere qualcosa puoi correre i 100 metri, se vuoi goderti una vera esperienza corri una maratona” ( Emil Zatopek)

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